Le interviste impossibili – A cura di Giovanni Ballarini – Apollonio e il formaggio marcato Luni

Home/Assaggi/Le interviste impossibili/Le interviste impossibili – A cura di Giovanni Ballarini – Apollonio e il formaggio marcato Luni

Un’antica leggenda narra che nei musei, sotto il patronato di Apollo, la notte del solstizio d’estate le Muse richiamano in vita le immagini e danno voce agli oggetti che si fanno intervistare. È in una di queste occasioni che un particolare della Tabula Peutingeriana, esposto al Museo del Parmigiano Reggiano, ci permette di conoscere come già duemila anni fa i formaggi provenienti dal Parmense venissero marchiati al Porto di Luni e giungessero via nave ai mercati di Roma.

APOLLONIO E IL FORMAGGIO MARCATO LUNI

Tutto inizia da Roma, caput mundi, anzi da uno dei suoi più importanti mercati, il Velabrum, situato nell’area pianeggiante tra il fiume Tevere e il Foro Romano, tra i colli del Campidoglio e del Palatino, contiguo al Foro Boario e al Vicus Tuscus, borgo etrusco o via etrusca, la via che partendo dal Foro Romano costeggia le pendici del Palatino verso il Circo Massimo. Nel Foro Boario si commerciano gli animali vivi, nel Vicus Tuscus vi sono i mercanti di stoffe e abiti e nel Velabrum, sulla cui denominazione vi sono molti e discordi racconti, sono insediate attività commerciali e produttive legate soprattutto al settore alimentare. È l’anno 100 dopo Cristo. Già al mattino presto dalle banchine del fiume Tevere sono scaricate le merci che arrivano da ogni parte dell’Impero e il mercato raggiunge la sua massima attività all’Ora Sexta (tra le undici e le dodici) quando con colorite grida ogni venditore magnifica le sue merci.

In questo affollatissimo “ventre di Roma” i venditori delle merci sono riuniti per tipo di prodotto, agevolando i compratori, dai semplici cittadini ai cuochi che devono preparare la cena dei loro padroni, suscitando anche la curiosità degli sfaccendati che si accingono a raggiungere le Terme.

Una particolare attenzione, tra i molti formaggi esposti sui banchi dei venditori, da qualche tempo suscita il formaggio ovicaprino decantato a gran voce da Apollonio che magnifica il suo Formaggio di Luni di grandi dimensioni e marchiato con l’immagine della luna. Per vendere il suo formaggio con voce potente Apollonio continuamente grida “Caseus Lunensis! Caseus Lunensis!” intercalando con “Praestabit pueris prandia mille tuis” (Formaggio di Luni! Mille pranzi per i tuoi schiavi) divenendo celebre anche grazie alla citazione di Marziale.

Apollonio – gli chiedo – sai che tutta Roma ti conosce e spesso ride del tuo formaggio da quando Marco Valerio Marziale (38 o 41-104 d.C.) ha messo il tuo richiamo in uno dei suoi libretti?

Conosco bene Marziale – mi risponde Apollonio – un poeta che quasi tutti i giorni viene qui al mercato per avere ispirazioni da scrivere nei suoi libretti da vendere. Mi hanno anche fatto vedere il suo Liber XIII XENIA – XXX dove di sana pianta ha copiato il mio richiamo scrivendo: Caseus LunensisCaseus Etruscae signatus imagine Lunae / Praestabit pueris prandia mille tuis (Il formaggio di Luni – Il formaggio segnato dal marchio della etrusca Luni / Fornirà mille pranzi ai tuoi schiavetti). Ora molti mi prendono in giro per i mille pranzi per gli schiavi, ma per me è tutto un vantaggio perché in questo mercato sono il solo che vende un formaggio con un marchio e così ho aumentato le vendite [1].

Veniamo subito alla storia dei mille pranzi per gli schiavi. Con questa frase, che cosa vuoi dire al pubblico che si accalca attorno al tuo banco?

Certamente non è quello che alcuni hanno pensato e cioè di enormi forme di formaggio, non vedendo quello che ho sul banco di vendita. Voglio soltanto dire che il mio formaggio, ben stagionato e che importo da Luni, ha un grande potere nutritivo e ne basta una piccola quantità e mille è solo un termine iperbolico d’immagine. D’altra parte, che senso avrebbe promuovere un alimento con il pregio di una qualità che deriva dalla sua origine, per poi darlo agli schiavi?

Veniamo all’origine del formaggio segnato dal marchio della etrusca Luni. Perché questa marchiatura?

Da quando a Roma arrivano alimenti da ogni parte dell’Impero alcuni hanno incominciato a identificare i migliori e da tempo siamo abituati alle anfore di garum e di vini che portano impressi simboli d’identificazione del produttore o anche di origine, purtroppo già con fenomeni di contraffazione. Da quando si sono sviluppati i commerci diviene necessario dare certezze e per questo sulle anfore dei vini e del garum di migliore qualità vi sono indicazioni del contenuto e per esempio a Iulia Concordia si applicano targhette di piombo anche alle balle di lana indicando il peso, la qualità e il nome del produttore. Lo stesso sta avvenendo per formaggi che s’imbarcano a Luni e che mi arrivano qui a Roma. Sono formaggi prodotti non tanto nei territori vicini al porto, ma che arrivano soprattutto da una più ampia area fino alla pianura padana, facilmente raggiungibile attraverso alcuni passi appenninici e quindi anche dalle Regiones regio VIII Aemilia e regio IX Liguria di quella che prima era la Gallia Cisalpina. Territori ricchi di Campi Macri lodati da Strabone (60 a.C.-21-24 d.C.) dove ogni anno si tiene una fiera famosa e dove Lucio Giunio Moderato Columella (4-70 d.C.) riporta come le greggi che pascolavano nei Campi Macri fossero le più pregiate. Formaggio con il marchio della luna è quindi una indicazione di origine che garantisce una qualità; una necessità quindi che deriva anche da un’estensione dei commerci e dei consumi, un fenomeno transitorio ma che diverrà una necessità ogni qual volta vi sarà un mercato globalizzato.

Grazie Apollonio delle tue precisazioni e che danno testimonianza dell’importanza della qualità e come questa possa essere identificazione di una marchiatura, con il pericolo però di una falsificazione, ma tu, sul formaggio che vendi, ci metti anche la tua faccia che non può essere falsificata. Comunque quando vedi Marziale salatemelo e digli che gradirei con lui conversare sui molti formaggi che vedo in questo mercato.

[1] Che poeti, musicisti e altri artisti usino le grida e i richiami di venditori di strada nelle loro opere non deve stupire. Giuseppe Verdi, tra i tanti, porta sempre con sé un libriccino di annotazioni e prende i temi delle sue fughe dal richiamo di un venditore di gelati o di un barcaiolo, il grido che accompagna il lavoro dei trebbiatori e dei vignaioli, il pianto di un bambino (Franz Werfel, Verdi. Il romanzo dell’opera, Milano, Corbaccio, 1929; Bruno Barilli, Il paese del melodramma, Lanciano, Carabba, 1929; Torino, Einaudi, 1985).