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XIV-XVI secolo

… Et eravi una montagna di formaggio Parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa fecevan, che fare maccheroni, e raviuoli, e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava, più se n’aveva… (1349-1353).

Giovanni Boccaccio, Decamerone, Giornata VIII, Novella terza, Venezia, Giovanni e Gregorio de’ Gregori, 1492.

Due sono oggi in Italia le specie di formaggio che si contendono il primato: il Marceolino, come infatti lo chiamano gli Etruschi perché si fa in Etruria nel mese di marzo, e il Parmigiano, che tra i Cisalpini si può anche chiamare maggengo, dal mese di maggio.

Bartolomeo Sacchi detto il Platina, De honesta voluptate et valetudine Libri X, Basilea, 1541.

“In questi tempi il primo vanto all’Italia è dato dal formaggio Parmigiano, mentre un tempo era dato dall’abbondanza della lana. Da qui il distico: “io sono il nobil frutto del latte di Parma”.

F. M. Grapaldo, De partibus aedium, Parma, Angelo Ugoleto, 1494, 1516, Libro I, Cap IV, alla voce Parmensis caseus.

Scorgesi belle e larghe campagne, ove sono buoni e grassi pascoli per li animali, e fra gli altri, per le grandi mandre di Vacche, dalle quali se ne cava tanto latte per far il Cascio, che è quasi cosa da non credere, a quelli che non l’haueranno veduto, onde è nominato, il detto Cascio, per la sua bontà per tutta l’Italia.

Leandro Alberti, Descrizione d’Italia, Bologna, 1537.

Il nobile piacentino Giulio Landi (1498-1579), cultore dei piaceri della tavola, nel suo trattato Formaggiata di Sere Stentato, databile al 1538 e pubblicato per la prima volta a Piacenza nel 1542 “per Ser Grassino Formaggiaro”, ha posto, al di sopra di tutti i formaggi italiani, il Parmigiano, considerato condimento perfetto per lasagne e maccheroni nonché accoppiamento sublime con pere, mele e uva.
Nel suo trattato si legge:
“E perciò i cibi che con esso son conditi non offendono il gusto, anzi son dilettevolmente saporiti, che ben che al cuoco ne cadesse fra le dita nella pignatta più dell’ordinaria misura, non perciò la minestra guasterebbesi. […] Più oltre il formaggio non guasta mai minestra e senza esso non si può far buone lasagne, i maccaroni non meritano pur un sol sguardo. Egli è de’ ravioli la vera salsa. Le frittate senza esso sono di pocho valore, ma della torta egli è la propria e vera anima. […] I pieni degli arrosti e de’ lessi non vagliono un cucchiaro d’acqua. Le ova maritate non possono maritarsi se non col formaggio, senza cui non si può dorare o sattificare il pane. Insomma egli è quello che accompagna tutte le vivande e che è vero de tutti i cibi humani gentile e gratioso condimento”.

Giulio Landi, Formaggiata di Sere Stentato al serenissimo re della virtude, a cura di Alberto Capatti, Milano, 1991.

“I pascoli di Parma sono così gustosi e dolci che si crede che nessun posto d’Europa si possa paragonare a questo per gli eccellenti formaggi che produce, per cui il nome dei Parmigiani è conosciuto dappertutto”.

William Thomas, Historie of Italy, London, 1549.

Una sera Andrea del Sarto presentò un tempietto a otto facce simile a quello di San Giovanni, ma posto sopra colonne. Il pavimento era un grandissimo piatto pieno di gelatina con spartimenti di vari colori di mosaico. Le colonne che parevano di porfido erano grandi e grossi salsicciotti, le basi e i capitelli erano di formaggio Parmigiano”.

Giorgio Vasari, Vite de’ più eccellenti architetti, scultori e pittori, Firenze, 1550.

“La città è circondata da una campagna fertile e feconda che produce così grande quantità di latte delle sue pianure ricche e bellissime da non sembrare possibile se non a chi l’ha potuto constatare con i propri occhi. Il suo formaggio detiene il primato in tutta Italia e vi sono pure assai pregiati i greggi ricercati per la qualità della lana (1556)”.

Lorenz Schrader, Monumentorum Italiae… liber quatuor, Helmaestadii, 1592.

Ed è tanta la grassezza et morbidezza del paese che continovamente ne cavano fora le propinque et lontane città molta copia di formento, fava, riso, polli, carne, ova, butero, cascio et fruti.

Compendio copiosissimo … de la Città di Parma, suo popolo et territorio, Ms. Parmense, 420.

“Il territorio Parmigiano  poscia è meravigliosamente fertile, poiché di tutte le cose bisognose e necessarie al vivere umano, come frutta, biade, vini, legna, polli, armenti, greggie e Cascio di quella bontà che sa il mondo, produce in grandissima copia”.

Bonaventura Angeli, Della descrittione del fiume della Parma et dell’historia della città di Parma, Parma, Erasmo Viotti, 1590, p 25.

XVII secolo

Il territorio attorno alla città è assai fertile e ameno, ferace di messi e di frutti di ogni sorta, ma sopratutto di vini, olio, latte e formaggio, che è famoso in tutto il mondo.

Gaspar Ens, Deliciae Italiae, Coloniae, 1609

Il formaggio Parmigiano può vantare tutte le virtù […]. Non esiste formaggio migliore, più utile, delicato e gradevole del Parmigiano.
Facetiae facetiarum, Pathopoli, Galastino Severo, 1645.

Poggio: In fede mia il padrone disse che l’amava quasi quanto il Parmigiano e giurò – parola mia – che le mancava soltanto un naso come l’ha lui per essere la giovane più bella di Parma.

John Ford, ‘Tis Pity She’s a Whore, (atto I), 163O.

La campagna attorno a Parma è assai fertile e dà tanto credito al formaggio che i formaggi parmigiani sono famosi in tutto il mondo (1630).

Richard Lassels, The voyage of Italy, London, 1670. 

Questa città ha buono ameno e fruttifero territorio il quale produce frumento et altre biade, saporiti frutti, olio et delicati vini, con grand’abbondanza di cascio noto per tutto il mondo

Andreas Schott, Itinerarium Italiae, ed italiana, Padova, 1638

Qui si fanno degli eccellenti formaggi che hanno talvolta un diametro di due piedi e mezzo, qualche volta anche di più e che pesano più di 200 libre comuni. La maggior parte dei forestieri cerca questa qualità di formaggi: i Veneziani ne fanno trasportare tutti gli anni una grande quantità a Costantinopoli per farne omaggio al Visir, ai Pascià ed altri membri della corte del Sultano ed a lui stesso (1644).

Pierre Du Val, Voyages, Paris, 1656.

Entrammo nei territori del duca di Parma e notammo alcuni bei pascoli, quelli che permettono di fare il famoso formaggio Parmigiano (1664).

Philip Skippon, An account of a journey…, London, 1752.

Il Grande incendio di Londra si propagò nella City dal 2 al 5 settembre 1666 (12-15 settembre secondo il calendario gregoriano), distruggendola in gran parte.
Dalle memorie di Samuel Pepys apprendiamo che fra le cose più preziose che gli abitanti cercarono di mettere in salvo, vi era anche una forma di Parmigiano Reggiano:

«1666 – 4 settembre – Il fuoco stava arrivando dalla strada stretta, da entrambi i lati, con una furia immensa.
Sir William Batten (1600/1601- c. 1667, ammiraglio e politico inglese), non sapendo come salvare i suoi strumenti, scavò un grosso buco nel giardino e li appoggiò lì dentro; e io colsi l’opportunità di metterci tutte le carte del mio ufficio, che non avrei potuto gestire altrimenti. Alla sera Sir William Penn (1621-1670, Ammiraglio inglese) ed io scavammo un altro buco, dove mettemmo il nostro vino, ed io il mio Parmigiano insieme al mio vino e altre cose».

The Diary of Samuel Pepys: A selection. Selected and edited by Robert Latham, London, Penguin Books, 2003, p. 664.

Il Platina dice che in Italia due sorti di cascio pretendono il primato, uno il marzolino così detto perché su’ colli toscani di marzo prepararsi: l’altro quello che dall’Appennino di Parma ne viene, quale pur chiamasi maiale perché nel mese di maggio fassi, conseglio che in riguardo alla stagione può servire a chi vuoi comprar formaggio.

Vincenzo Tanara, L’economia del contadino in villa, Bologna, 1680.

Il ducato di Parma, detto comunemente “Il Parmigiano”, è straordinariamente fertile e ridente: Il formaggio che da qui si manda in ogni parte d’Europa testimonia a sufficienza la bontà dei pascoli (1682).

Ellis Veryard, An account of divers choice remarks, London, 1701.

La campagna attorno a Parma è estremamente fertile e piacevole da vedersi. Il formaggio Parmigiano prende nome dal territorio: è molto grasso ed ha questa proprietà, non si guasta mai (1691).

William Bromlev, Remarks in the grand tour, London, 1692.

XVIII secolo

Ritornai alla locanda (di Borgo San Donnino) e mi misi, solo, a tavola. Mi venne servita una minestra di piselli, un intingolo, animelle di vitello fritte e un grosso piccione arrosto. Un oste si avvicinò alla mia tavola e mi fece portare del prosciutto sollecitandomi a bere e a mangiare. Mangiai anche carciofi al pepe, fragole ed eccellente formaggio con vino bianco e rosso spumante (1706).

Jean Baptiste Labat, Voyage en Espagne et en Italie, Amsterdam, 1721.

L’eccellenza del formaggio Parmigiano, così rinomato in tutte le eleganti tavole d’Europa, proviene dagli ottimi pascoli della campagna…Ci sono tre qualità di formaggio Parmigiano: 1) formaggio di forma che generalmente ha due palmi di diametro, e circa otto pollici di spessore; 2) formaggio di robiole; 3) formaggio di robioline. Si usa talvolta lo zafferano per colorare questi formaggi: ne basta una mezza oncia per colorarne un centinaio. Il formaggio Parmigiano raggiunge la perfezione quando è vecchio di tre o quattro anni: il migliore è considerato quello che nel tagliano si sbriciola. A Vianino, sull’Appennino, si fa un gustoso formaggio di latte di pecora (1729).

John George Keysler, Travels through Germany, Italy…, London, 1760.

Parma è considerata la patria di quel buon formaggio che si chiama Parmigiano perché si fa da queste parti: non si trova così buono in tutte le città vicine, se non proprio a Parma. Ho rilevato che gli abitanti di questa città non gradiscono affatto che si parli dell’eccellenza del loro formaggio: è per essi una specie di insulto di cui facilmente si offendono (1733).

Pierre De Ville, Voyage d’italie, manoscritto inedito, Aix, Biblioteca Méjanes.

Il terreno dei dintorni è fertile ed abbonda di ogni qualità di frutta, di olio, di vini, di latte e di formaggio che si esporta in tutte le parti del mondo e che è conosciuto sotto il nome di formaggio Parmigiano.

Les delices de l’Italie, Paris, 1743

Alla Certosa mangiammo dal priore dove ci fu un pranzo alla italiana. All’inizio ci fu servita dell’uva di grossi grani, a forma di olive, chiamata “uva di Fortana”, di color nero, eccellente al gusto: molti piatti erano preparati con il formaggio di Parma (1749).

Anne Marie d’Aignan Marqis d’Orbessan, Voyage en Italie, Paris, 1768


Il clima è salubre, fertile il terreno: le valli abbondano di frutta, viti e pascoli. I loro abitanti hanno mandrie prodigiose di bestiame bovino dal manto scuro e grossi greggi di pecore. Le prime offrono la possibilità di fare il miglior formaggio in Italia, i secondi forniscono gran quantità di bella lana (1752).

John Northall, Travels through Italy, London, 1766.6.

La ricchezza del paese consiste nei pascoli, il bestiame è ben nutrito, i formaggi sono eccellenti ed anche le più modeste capanne ne erano abbondantemente fornite (1769).

Loitts Antoine Caraccioli, Voyage de la raison en Europe, Paris, 

A Chivasso ho mangiato à l’Italienne… eccellente il formaggio parmigiano di cui comunemente vien posto sulla tavola un piatto pieno di grattugiato da unire al riso o ad altra minestra (1770).

Charles Burnev, The present state of music in France and Italy, London, 1773.

Qui mangiamo meglio del solito. Formaggio e burro sono meravigliosi, sta tranquillo, non mi trovo a disagio (1770).

Lady Miller, Letters form Italy, London, 1776.

Il formaggio di Parma si fa in tutta la zona compresa fra Parma e Milano. Trae il nome da una principessa di Parma che per prima lo fece conoscere in Francia (1773).

H.A.O. Reichard, Guides des voyageurs en Europe, Weimar, 1793.

Morivo di fame, e mi dissero che non c’era nulla da mangiare. Ma, convinto del contrario, ordinai al locandiere, ridendogli in faccia, di portarmi burro, uova, maccheroni, prosciutto e formaggio Parmigiano, poiché so che queste son cose che in Italia si trovano dappertutto.

Giacomo Casanova (1725-1798), Storia della mia vita, Parigi, 1797.

XIX secolo

Tutto il territorio del ducato parmense può dirsi fertile e sano e l’industria dei coltivatori corrisponde ivi con usura alle loro cure e premure. I cereali, il riso, il frumento e tutte le sorta di legumi pro uce abbondantemente questo suolo. Ottimi sono i pascoli, abbondante e buono il latte, ed eccellenti i formaggi. Poco olio fa questo territorio ma del buon vino. Nella parte montana sulla fascia boreale degli Appennini si hanno molti prodotti di castagne.

Giacomo Barzellotti, Avviso agli stranieri che amano viaggiare in Italia, Firenze, 1838.

A Parma: formaggio famoso detto di Parma, prosciutto eccellente, spalla di San Secondo cotta nel vino con cannella ed altre spezie, la bondiola, salume non meno considerato a Parma che la mortadella a Bologna. Buoni pesci del Po, trote dei quattro torrenti del ducato di Parma. Meloni e funghi in abbondanza, a buon prezzo.

Antoine-Claude Valéry, L’Italie confortable, Paris, 1839.

Nelle memorie di viaggio in Italia dei fratelli Edmond (1822-1896) e Jules (1830-1870) de Goncourt, trascritte nell’opera L’Italia di ieri. Note di viaggio 1855-56, vi sono accenni gastronomici relativi alla città di Parma. Ecco una descrizione dettagliata di una visita dei due famosi scrittori francesi alla tenuta del conte Taverna, dove si fabbricava il formaggio Parmigiano:
«Prati feltrati d’un verde come non ho visto in nessun luogo, irrigati di chiari ruscelletti e divisi da piccole cortine di pioppi spogliati dalle foglie, ma tutti fogliati di uccelli come in certe miniature mistiche.
Stalle dove sessanta vacche mettono nella calda penombra vapore opalino che sale dalle loro narici lucenti.
Il latte, al quale è stata levata la crema, si trasforma nel “casello” e si versa in una caldaia di rame, a forma di campana rovesciata, molto svasata sull’orlo; la caldaia è portata sul fornello situato in una nicchia circolare, scavata nel pavimento del “casello” ed esposto ad un fuoco che si leva a 28 o 30 gradi e, perché la temperatura resti uniforme, si agita continuamente il latte con la rotella.
Così riscaldato il latte, si toglie la caldaia dal fuoco e la si lascia in riposo perché il latte si coaguli, cosa che dura tre ore d’estate e mezz’ora d’inverno.
Poi il latte coagulato è battuto vivamente con lo spino finché diventa granuloso, della grossezza di un gran di riso; si rimette la caldaia al fuoco, la si fa lentamente salire a 32 gradi, è il momento dello spurgo quando si aggiunge zafferano, che agisce come astringente, dà colore e sapore al formaggio.
Poi i formaggi sono portati nella salatoia, e qui vengono salati due volte la settimana e questa preparazione dura 40 o 50 giorni. Alla fine i formaggi sono immagazzinati nella “casera” e posti su tavola di legno. È là che sono verniciati con olio di seme di lino, d’inverno due volte la settimana, d’estate ogni giorno.
I mercanti di formaggio riconoscono la bontà del formaggio ascoltandolo con un martelletto di ferro».

Edmond e Jules De Goncourt, L’Italia di Ieri. Note di Viaggio, 1855-1856.
Inframmezzato dagli schizzi di Jules de Goncourt buttati giù sull’album di viaggio, Milano, Perinetti Casoni, 1944.

Andammo all’Albergo della Posta che ci era stato consigliato da un amico e vi consumammo un pranzo al formaggio, al vero Parmigiano: minestra grassa al formaggio, cotolette di montone impanate al formaggio, un’omelette al formaggio, maccheroni all’italiana (naturalmente al formaggio), dessert al formaggio, il tutto accompagnato da un vino che dava alla testa e di cui facemmo abbondante consumo per la gran sete che tutti quei piatti ci avevano procurato. Per cui dopo il pranzo fummo ancor più solleciti ad andare a riposare (1859).

Edmund Roche, L’Italie de nos iours, Paris, s.d.

Giuseppe Verdi (1813-1901) amava in particolare un certo tipo di risotto: una ricetta semplice ma dal grande sapore, che Giuseppina Strepponi (1815-1897), soprano e moglie del grande compositore, descrive in questa lettera inviata a Camille Du Locle (1832-1903), impresario del teatro l’Opéra di Parigi nel settembre del 1869:
«Mettete in una casseruola due oncie di burro fresco, due oncie di midollo di bue o vitello con un poco di cipolla tagliata.
Quando questa abbia preso il rosso, mettete nella casseruola sedici oncie di riso di Piemonte, fate passare a fuoco ardente, mischiando spesso con un cucchiaio di legno finché il riso sia abbrustolito ed abbia preso un bel color d’oro.
Prendete del brodo bollente fatto con buona carne e mettetene due o tre mescoli nel riso.
Quando il fuoco l’avrà a poco a poco asciugato, rimettete poco brodo e sempre fino a perfetta cottura del riso. Avvertite però che a metà della cottura del riso bisognerà (ciò sarà dopo un quarto d’ora che il riso sarà nella casseruola) mettervi un mezzo bicchiere di vino bianco naturale e dolce; mettete anche, una dopo l’altra, tre buone manate di formaggio Parmigiano grattato rapè.
Quando il riso sia quasi completamente cotto, prendete una presa di zafferano che farete sciogliere in un cucchiaio di brodo, getta telo nel risotto, mischiatelo e ritira telo dal fuoco, versa telo nella zuppiera. Coprite e servite subito».
Giuseppina Strepponi a Camille Du Locle, settembre 1869.

Ha una struttura granulosa, è facile da spaccare e da grattugiare, possiede tanti piccoli occhietti, o vacui, regolarmente sparsi; bene spesso è filante, cioè quando si staccano dei pezzi, si vedono fili di materia viscosa accompagnarli per un certo tratto, poi rompersi. Il suo odore è gradevole ed aromatico, piccante ma non esagerato. La crosta è piuttosto dura (1887).

C. BESANA, Atti del concorso internazionale di caseificio tenuto in Parma nel settembre 1887, Roma, eredi Botta, 1888.

XX secolo

Il miglior prosciutto della penisola e il formaggio famoso in tutto il mondo per cucinare, come altri prodotti alimentari, sono originari di Parma o del suo territorio circostante. Durante l’inverno poi ci sono molte altre leccornie: pernici, fagiani, beccacce, piccoli uccelli che gli italiani amano mangiare, funghi e tartufi bianchi.

Osbert Sitwell, Winters of content, London, 1932.

Gli spiritelli dell’illuminismo francese si agitano ancora bizzarramente entro il vapore profumato, ma non greve, del burro che si scioglie lan-guido sui tortelli d’erbette o ruzzano fra nevicate del Parmigiano.

Massimo Dursi, “Il Resto del Carlino”, 30 novembre 1956.

“Dovete andare a Parma – ci dissero – è il posto dove si mangia meglio in Italia”. E poiché Parma aveva abbastanza considerazione per avere un affascinante teatro d’opera ci decidemmo ad andarvi. Pranzammo in un ristorante che ha fatto della sua proprietaria qualcosa come un personaggio internazionale nella enorme pubblicistica gastronomica cosmopolita, divenuta oggetto di particolare lettura post bellica in Inghilterra. Facemmo uno di quei pranzi che si ricorda per tutta la vita senza peraltro essere capaci di descrivere esattamente tutto quello che si è mangiato.
Il pranzo incominciò – ricordo – con il delizioso prosciutto di Parma, dolce, profumato, che si mangia sempre troppo in fretta per ricordarsi con precisione cosa è quello che gli conferisce la sua sottile qualità, la sola introduzione peraltro a quel che seguì. E questo -per quel che posso ricordare – fu un piatto di tortellini d ‘erbette, involti rettangolari di pasta, riempiti di ricotta e spinaci e ricoperti di formaggio Parmigiano e di burro fuso. Ci dissero che questo è un piatto tradizionalmente estivo ma non riuscimmo a capire perchè ci fossero per lui delle restrizioni stagionali. Ci si può aspettare soltanto a Parma che il formaggio svolga una parte di rilievo nella cuisine locale cosi che quando la proprietaria ci portò le cotolette di vitello esse erano avvolte in una specie di rivestimento di Parmigiano con tutt’attorno bianchi tartufi posti con buon effetto decorativo. A questo punto del pranzo riuscì a ritirarmi dalla mischia per attestarmi su posizioni dietetiche mentre i miei commensali continuarono a vedersela con la frutta e con il dolce. La prima era costituita da un’arancia tagliata a pezzettini, senza pelle, senza fibre, senza semi, da un cameriere che eseguiva l’operazione usando una piccola forchetta ed uno scalpello con l’abilità di un chirurgo. Il dolce – sospetto – aveva qualcosa da spartire con Maria Luigia: si chiama torta ungherese ed aveva cioccolato in abbondanza ed un aspetto austriaco. Il vino che incominciò ad apparire sin dalle prime mosse del pranzo fu naturalmente il locale lambrusco che si consiglia di bere con i ricchi cibi emiliani. Il lambrusco è un vino difficile da descrivere. È un vino rosso, secco, spumante che sembra spumeggiare soltanto quando vien versato nel bicchiere, una spuma di bollicine rosso cupo che rapidamente si depositano e vi lasciano in possesso di un buono, robusto e tranquillo vino da tavola. Parma offre come specialità uno strano liquore tratto dalle noci immature. E di colore verdastro scuro, chiamato “nocino” ed è sorprendentemente forte.
Spike Hugues, Out of Season, London, 1956.

Quello che stavo mangiando era “stravecchio”, un formaggio che viene fatto stagionare per due anni nella semioscurità di uno dei grandi magazzini della città o della provincia. E usato in tutta Italia per cucinare e come formaggio da grattugiare. Senza di esso l’arte culinaria italiana non avrebbe la fama di cui gode.

Eric Newby, Parma, in “Holiday”, gennaio 1962.

Si va a colazione in un’osteria di Ongina, nella “Siberia” nebbiosa vicino al Po. Entra la padrona e ci serve culatello, tortelli, anguille fritte e una torta squisita, non di qua, forse di origine viennese. E si incomincia a parlare di cibi, del culatello che matura solo in questo quadrato con centro a Zibello dove l’aria del Po è spessa e umida, buona per le muffe che conservano buona la carne priva di grasso:
o dei salami dì Felino o dei prosciutti di Langhirano che invece vengono bene solo nell’aria secca delle colline o del grana, quello vero senza la formalina. Resisteranno i cibi squisiti alla produzione di massa?

Giorgio Bocca, “Il Giorno”, 18 novembre 1962.

Andai a Torrechiara, un piccolo villaggio sotto una collina su cui si eleva un castello che, in distanza, sembra un tempio azteco. Alla Trattoria del Castello mi diedero un enorme piatto di buonissimo prosciutto, un po’ di pane fatto in casa, dolce come quello che si fa in Spagna, e un po’ di formaggio. Il robusto vino rosso era eccellente e quando chiesi da dove veniva mi indicarono le colline di fuori. La locanda era piena di contadini in abiti da lavoro che bevevano il vino centellinandolo e demolivano montagne di spaghetti.

H.V Morton, A traveller in Italy, London, 1964.

Questa è la città delle violette, del formaggio, del prosciutto crudo che si stagiona attorno a Langhirano sino a che prende il sapore di gran lunga migliore rispetto a prodotti similari di ogni altra parte del paese. E un insieme incredibile di profumi e di sapori.

Harold Rose, Guide to Northern Italy, London, 1964.