Le interviste impossibili – A cura di Giovanni Ballarini – San Lucio e il miracolo del formaggio

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Un’antica leggenda narra che nei musei, sotto il patronato di Apollo, la notte del solstizio d’estate le Muse richiamano in vita le immagini e danno voce agli oggetti che si fanno intervistare. In una di queste occasioni, la statua di San Lucio, conservata al Museo del Parmigiano Reggiano di Soragna mi permette di intervistare il santo patrono dei casari e di conoscere i segreti della tecnologia da lui introdotta nella lavorazione del formaggio.

SAN LUCIO E IL MIRACOLO DEL FORMAGGIO

È il 12 luglio e siamo sui dorsali erbosi del valico tra la Val Colla (Svizzera) e la Val Cavargna (Italia), all’altezza di 1542 metri s.l.m, in passato via di transito molto battuta e che ora è vegliato dall’oratorio dedicato a San Lucio, al cui interno viene esposta la statua lignea quattrocentesca del santo. San Lucio è un pastore che offre ai poveri il formaggio, che il suo padrone gli dà come paga, e che si dice moltiplica miracolosamente provocando l’invidia del padrone che così finisce per ucciderlo. Lucio diviene così il patrono dei formaggiai, dei casari, di coloro che svolgono attività casearie e dei mandriani. Nella notte del 12 luglio, giorno anniversario del suo martirio, San Lucio appare in sogno a chi la sera precedente lo ha pregato e si è coricato tenendo accesa una candela davanti a una sua immagine. È così possibile interrogarlo e chiedergli grazie, che a volte concede, e così facendo posso rivolgergli alcune domande e annotare le sue risposte che scrivo appena mi sveglio dal sogno.

San Lucio, se Gesù ha moltiplicato pani e pesci Lei con un miracolo, ha creato il formaggio che distribuisce ai poveri, o almeno così si racconta. Come ciò è avvenuto?

Il miracolo, perché tale è stato su ispirazione divina, è quello di produrre formaggio in queste zone alpine di alta quota, un formaggio che distribuisco agli abitanti di questi luoghi, in gran parte poveri, insegnando loro come fare il prezioso alimento. Così facendo sollevo le ire del padrone di questi alpeggi che vede intaccare i guadagni che si procura vendendo latte, latti acidi o tenere ricotte e che per questo mi uccide. Tutto questo avviene quando io, anche su ispirazione e guida divina, individuo in queste alte terre alpine le piante capaci di coagulare il latte e trasformarlo in formaggio. Fin dai tempi più antichi in tutte le basse terre che circondano il Mediterraneo vi sono vegetali, primi tra tutti il fico e il cardo o carciofo selvatico, capaci di coagulare il latte, che si può così trasformare in caci e formaggi di grande valore, perché di lunga conservazione, facile trasporto, elevato valore nutritivo e gastronomico e quindi di buon prezzo e guadagno. Ma qui, a queste altezze, fichi e cardi non crescono, mentre ignote sono altre erbe e piante capaci di coagulare il latte per farne formaggio, e che mi sono state indicate dallo spirito divino. Il Galium verum dai piccoli fiori gialli, che sarà poi noto come caglio zolfino, presente nei prati aridi e nelle boscaglie montane e subalpine fino a 1700 metri, ha un gambo dal quale fuoriesce un liquido bianco che io uso per la coagulazione del latte nella produzione di formaggi. Sempre in questi alti rilievi alpini e fino ai 2000 metri, la Plantago lanceolata (lingua di cane o orecchio di lepre) ha buone azioni coagulanti, come il Galium verum e altre erbe di questi luoghi.

San Lucio, capisco che alle alte quote non si conoscevano piante o erbe capaci di coagulare il latte per farne formaggi e si producevano solo latti acidi o giuncate, ma i mandriani del luogo non potevano usare il caglio d’origine animale ottenuto dallo stomaco di neonati o lattanti?

Quanto lei dice è giusto, ma si dimentica che il caglio d’origine animale non si produceva sui pascoli alle alte quote e non era di facile ottenimento, per cui la possibilità di usare erbe coagulanti locali è stato considerato un miracolo, quale in realtà è avvenuto per ispirazione divina. Con la produzione sugli alti pascoli di formaggio che può essere stagionato e divenire di gande pregio rende anche possibile ottenere siero dal quale ricavare una ricotta. In altri termini costruire una catena (“filiera” – N. d. I.) casearia ricca di cultura e di valore economico e questo porta i mandriani a eleggermi loro patrono e il mio nome si diffonde anche nelle più lontane pianure per merito anche dei calderai.

Calderai? Ma cosa c’entrano in questa storia che si fa molto interessante?

Se per avere un semplice latte acido o una giuncata è sufficiente qualche attrezzo di legno, per fare il formaggio, ad esempio un caciofiore, è necessario avere una caldaia di buon metallo, preferibilmente di rame, costruita con arte dai calderai che si costituiscono anche in corporazioni. E gli abitanti di Cavargna, durante il periodo invernale, scendono nella pianura per lavorare come “magnani” e riparare pentole e caldaie. Sono loro che hanno diffuso le tecniche di produzione dei formaggi ad alta quota e anche il mio nome, fino a trasformarlo in un culto e questo avviene quando, oltre a costruire e vendere caldaie, divulgano le mie immagini nelle quali mi raffigurano mentre regalo una ricotta o un pezzo di formaggio a un povero.

Certamente Lei sa che anche altri, oltre i casari e i formaggiai, chiedono la sua intercessione con l’Alto dei Cieli e io nel ringraziala chiedo la sua benedizione.

Nel benedirla Le dico che seguo continuamente le invocazioni che mi arrivavano e quando vedo che sono accompagnate da un cuore sincero e da una giusta e retta fede intercedo presso l’Alto dei Cieli. So che sono divenuto patrono dei formaggiai e delle loro Corporazioni o Arti, in molte città, come Milano, Bergamo, Brescia, Lodi, Codogno, Piacenza, Parma grazie anche ai ramai o calderai della Val Cavargna, che diffondono il mio Patronato in una cinquantina di località del Nord Italia e del Ticino. A Parma l’antichissima e potente Arte dei Lardaroli, secondo lo Statuto del 1459, aveva il diritto di vendita esclusiva di formaggio, carni salate, olio di oliva e di semi, pesci freschi, salsicce, interiora e burro perché in questa città le due attività di trasformazione del latte in formaggio e stagionatura delle carni erano interconnesse e da qui la concentrazione in un’unica Arte. Per questo sono divenuto il protettore anche dei Lardaroli e nelle licenze e sui documenti ufficiali della loro Arte vi è la mia immagine nella quale offro un pezzo di formaggio ad un povero. Una statua devozionale che mi raffigura, è oggi esposta presso il Museo del Parmigiano Reggiano, dove si racconta la mia storia.