Protagonisti del gusto: Il casaro Damiano Delfante

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A cura di Tatiana Cogo

La storia del Parmigiano Reggiano è millenaria, prodotto per la prima volta dai monaci benedettini e cistercensi per conservare a lungo il latte, nei secoli il Parmigiano è diventato un prodotto d’eccellenza – il re dei formaggi italiani – conosciuto in tutto il mondo.
A produrlo sono i casari, esperti artigiani che di giorno in giorno tramandano una preziosa quanto antica conoscenza. Noi abbiamo intervistato un casaro che ha alle spalle generazioni di esperti perché in famiglia a partire dal bisnonno, anche il nonno e il padre sono stati casari. È Damiano Delfante, casaro al Caseificio di Ravarano e Casaselvatica, che da 16 anni ha un proprio marchio per commercializzare e vendere il Parmigiano Reggiano.
Il destino di Delfante forse era già scritto, anche se ufficialmente il primo contratto arriva il 1° gennaio del 1990, ma sin dall’infanzia ha sicuramente respirato l’aria del mestiere.
Studente di ingegneria, lascia al secondo anno per aiutare il padre che, per problemi alla schiena, non riesce più a portare avanti il lavoro.
“Ho sempre avuto un’attrazione particolare per il lavoro di mio padre, per come lo interpretava, per le sue mani grandi. Era un uomo forte e anche burbero per certi aspetti, ma le sue mani erano delicate quando avevano a che fare con il formaggio, aveva una specifica sensibilità – spiega Delfante”.

Alla domanda se è pentito di aver abbandonato gli studi per una vita molto dura, Delfante risponde:
“Assolutamente no, sono molto soddisfatto di quanto siamo riusciti a realizzare. Bisogna avere il giusto atteggiamento verso questo mestiere, che come diceva mio padre, non va fatto per soldi ma per passione. Questo è un lavoro faticoso fisicamente, quindi deve funzionare molto bene anche la testa, come dicevo serve passione altrimenti può diventare una galera”.
Così Damiano Delfante ha lavorato per diversi caseifici fino a 15 anni fa quando ha deciso che nessuno meglio del produttore poteva vendere i propri prodotti caseari ed è partita l’avventura a Ravarano Casaselvatica.
“Sono riuscito a diventare profeta in patria – scherza – perché i miei prodotti sono venduti nei migliori ristoranti e gastronomie cittadine, abbiamo una collaborazione con il Parma Calcio 1913, durante le partite casalinghe facciamo assaggiare il nostro Parmigiano Reggiano poi naturalmente abbiamo la vendita diretta”.

Quale è la sua routine quotidiana?
“Sveglia attorno alle 5 poi si inizia a lavorare e si finisce attorno alle 13-14 al caseificio”.

Vacanze riesce a farne? E quando è stata l’ultima?
“Qualcuna, molto breve – spiega – l’ultima è stata nel 2023 a Dubai, con la scusa di alcuni eventi legati al prodotto sono andato con i miei figli. Ma devo ammettere che quando sono via la testa torna sempre al caseificio”.

Gli chiediamo come si fa a fare un buon Parmigiano Reggiano.
“La tecnica e le regole per fare il Parmigiano Reggiano sono quelle, scritte da secoli, ciò che fa la differenza è lavorare sui dettagli. Il talento e la sensibilità del casaro sono molto importanti, perché è un gioco di equilibri. Servono molte conoscenze ed esperienza e bisogna anche saper rischiare. E qui entra in gioco l’equilibrio tra la quantità di siero innesto e caglio, fase molto delicata in cui bisogna saper prendere decisioni molto velocemente per aggiustare eventualmente ciò che non va. Il mio obiettivo è fare un parmigiano reggiano buono da mangiare in tutte le stagionature. E la prima cosa che faccio al mattino è guardare il latte steso nelle vasche e la panna che è affiorata, questo per capire con che materia prima avrò a che fare quel giorno. E ogni giorno è diverso dall’altro…”

Con che latte lavorate?
Il migliore per la caseificazione è quello della vacca bruna, noi prendiamo il latte degli alti pascoli dall’alta Val Baganza.

In che stato di salute è il mestiere del casaro?
“Purtroppo ho visto abbandonare la filosofia che dovremmo sempre avere, perché per quanto il Parmigiano Reggiano sia il prodotto alimentare italiano più venduto nel mondo, rimane un prodotto di nicchia, parliamo di 4 milioni di forme per una popolazione mondiale di 7-8 miliardi di persone, quindi bisogna evitare di creare cose diverse dalla produzione artigianale. Questo non potrà mai essere un prodotto industriale, per quanto le multinazionali cerchino di infiltrarsi”.