La collezione di grattugie esposta al Museo del Parmigiano Reggiano è assai ricca, tanto da occupare due intere vetrine. Il viaggio tra le grattugie di ieri e di oggi inizia da quella di forma più antica, simile alla raffigurazione che, in compagnia degli altri attrezzi occorrenti per la preparazione dei cibi, compare nel trattato di Bartolomeo Scappi sull’arte del cucinare, dato alle stampe a Venezia nel 1570. Questa grattugia molto semplice (Italia settentrionale, inizi sec. XIX, inv. MuPR 169) è composta da una lamina trapezoidale di ferro, leggermente incurvata, su cui è stata praticata con un chiodo una serie di fori; le irregolarità dei fori, sporgenti sulla parte convessa, permettono di grattare il formaggio. Completa l’utensile un piccolo manico a picciolo ricavato dalla lamina stessa. Comune fin dall’antichità tra le suppellettili domestiche, la grattugia era in genere, come questa, di ferro, ma talora anche di metalli nobili. Grattugie di bronzo sono state ritrovate nelle tombe etrusche e sono descritte da autori greci e latini. In vari testi letterari la grattugia è evocatrice d’abbondanza e suggestioni conviviali. La menziona Omero nell’Iliade, quando Nestore esorta Macaone ferito a cibarsi di cacio grattato con uno strumento di bronzo e in un altro passo del poema in cui loda “una bevanda ristoratrice fatta con farine, vino e formaggio grattato”. Leggendo Boccaccio (Decameron, giornata VIII, novella III) chi non s’immedesima in Calandrino, che non sta più nella pelle all’idea di arrivare nel Paese di Bengodi dove svetta una montagna di Parmigiano grattugiato, in cima alla quale si cuociono maccheroni e ravioli per poi condirli facendoli rotolare giù?
Tecniche e tipologie
Nella pratica, per grattugiare si possono usare due metodi: in un caso la grattugia resta ferma ed è il formaggio che, per frantumarlo, viene fatto andare avanti e indietro sui denti di metallo dell’utensile muovendolo con la mano; nell’altro caso resta fermo il formaggio ed è la grattugia che si muove, mediante un cilindro rotante che gratta. Il caso è bene esemplificato dalla grattugia a manovella di area padana della prima metà del Novecento: il cilindro chiodato, girando, asporta frammenti dalla punta di formaggio, che viene tenuta in posizione dal coperchio. Proseguendo nel percorso museale, si possono apprezzare le diverse tipologie presenti: a lima, ad arco, con ganci d’ancoraggio al tegame, con ganci estensibili per bloccare la zuppiera, multiple cilindriche, quadrangolari, piramidali, multiuso, con vaschetta di riserva. Si arriva infine agli esemplari contemporanei, frutto dell’estro e della ricerca di celebri designer. Se a partire dall’Ottocento la produzione industriale ha originato grattugie multiple adatte per alimenti differenti (formaggio, verdure, pane), è dal secolo successivo che i creativi hanno dato vita a forme completamente nuove: da quelle divertenti, come ad esempio la grattugia manuale semplice “Porcospino”, in materiale plastico dalla forma di riccio o quelle di grande rigore formale, come la grattugia multilama gigante “Todo” di Alessi, a forma conica in acciaio e manico di legno, disegnata nel 2004 da Richard Sapper (1932-2015).
Grattugia. Italia settentrionale; ferro; inizi sec. XIX
La sua presenza è comune nelle cucine fin dall’antichità, rilevata nel Paese di Bengodi descritto da Bocaccio nel secolo XIV con la famosa “montagna di formaggio Parmigiano grattugiato“, presentata come oggetto evocatore d’abbondanza e suggestioni conviviali.
La più antica testimonianza risale ai tempi omerici essendo noto il formaggio da grattugia quando Macaone ferito alla spalla destra riceve il consiglio di Nestore “Siedi, bevi e gratta del formaggio di capra nel vino e mangia molta cipolla, perché ti stimoli a bere” ed in altra parte: “La bionda Ecamede versa a Nestore e a Macaone una bevanda ristoratrice fatta con farine, vino e formaggio grattato”.