Nel Novecento il Parmigiano Reggiano si diffonde su scala mondiale

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L’inizio del secolo XX è di fondamentale importanza per la storia tecnica del Parmigiano Reggiano. Fu allora che venne infatti messa a punto la tecnologia produttiva che dura tutt’ora.

Caseificio “moderno a vapore” costruito nei primi del ‘900 a Palasone di Sissa.

È nei primi anni del secolo che nei caseifici si diffusero il riscaldamento a vapore, il siero innesto e lo spino a gabbia Notari. Fu proprio il Notari, attivo presso l’istituto Zanelli di Reggio Emilia, a dare un contributo fondamentale allo sviluppo tecnico del comprensorio produttivo. In quegli anni l’istituto prese anche in carico la formazione dei casari iniziando pure l’attività di controllo analitico del latte. In seguito a tutte queste radicali innovazioni, la produzione iniziò inequivocabilmente a migliorare aiutata anche dalle nuove generazioni di casari sempre più artigiani specializzati e sempre meno “praticoni di campagna”.

Interno di caseificio “a vapore” parmigiano degli anni Trenta del Novecento.

Nel 1906 a Parma, Reggio Emilia e Modena si trovavano ben 1200 caseifici, pari a circa un quarto di tutti i caseifici italiani. La produzione nel 1913 era stimata in 20.000 tonnellate annue. Nel 1903 la produzione media per caseificio era di 9 tonnellate.
I caseifici ora erano divenuti per lo più delle imprese private con i casari che pagavano il latte ai conferenti. Il sistema era cronicamente afflitto dalla mancanza di mezzi economici necessari per la modernizzazione delle aziende agricole e per le strutture di trasformazione. Un grosso aiuto al superamento di questo impasse venne dall’introduzione delle cooperative, nel 1907 ve ne erano 37 a Reggio , 17 a Parma e 1 a Modena. Questi nuovi “caseifici sociali” risultavano economicamente più solidi di quelli privati perché i soci avevano altre fonti di reddito e quindi risentivano meno delle ricorrenti crisi commerciali del formaggio.

Carta del comprensorio con diffusione delle razze bovine attorno al 1940.
Nella pianura parmense è predominante la “bruna alpina”, nella collina parmense e nel reggiano la “reggiana” e nel modenese e mantovano la “bianca modenese”.

Nel 1905 la latteria sociale di Bagnolo in Piano aveva 30 soci con 120 vacche che produssero 13 tonnellate di formaggio, pari a 461 forme del peso di 28 kg. Si trattava di un’azienda modello che infatti spuntava prezzi del latte superiori a quello che si praticava presso le latterie private confinanti. Favorita dalla sua efficienza la cooperazione si diffuse rapidamente e nel 1966 il 72% dei 1850 caseifici in attività erano sociali.
Alla fine degli anni Trenta tutto il comparto di trasformazione agroalimentare italiano era ben sviluppato, malgrado la crisi avvenuta tra il ’29 e il ’34.

G.Venturini, bovini di razza montanara, sottorazza bardigiana.
G. Venturini, bovini di razza montanara, sottorazza bardigiana.

Nel 1937 il comprensorio di produzione venne definito con i confini che sono ancora quelli attuali e il termine Parmigiano Reggiano venne ufficializzato per la prima volta nel 1938. Nel 1928 i caseifici in provincia di Reggio si associarono per dare origine al Consorzio volontario del Grana Reggiano mentre Parma dal canto suo si apprestò ad organizzarsi per marchiare i propri formaggi con un marchio proprio. Questo marchio era stato definito anni prima ed era costituito dalla sigla F.P. sormontata dalla corona ducale.
Le antiche rivalità tra le città vicine si attenuarono molto quando la crisi di mercato colpì duramente il comparto nel ‘34. Messi da parte i particolarismi i rappresentanti dei caseifici di Parma, Reggio, Modena, Mantova (destra Po), si accordarono sulla necessità di approvare un marchio di origine per il loro formaggio. Il 27 luglio 1934 si creò il Consorzio Volontario Interprovinciale Grana Tipico che adottò il marchio ovale per le forme idonee, tale marchio recava l’annata e la scritta C.G.T. Parmigiano Reggiano.

G. Venturini, “Punta” di Parmigiano Reggiano pronta per il consumo, 1937

Alla vigilia della Seconda Guerra mondiale il comprensorio era una realtà solida e produttiva, nel ’33 la produzione era di 37.000 tonnellate con 16 tonnellate annue di prodotto per ciascun caseificio.
La guerra avrebbe colpito duramente il comparto sia qualitativamente che quantitativamente. Nel 1945 la produzione era il 40% di quella del 1939. La qualità peggiorò notevolmente in quanto per esigenze belliche il prodotto doveva essere destinato agli ammassi e qui quello che contava era il peso del prodotto, la quantità, perché il paese, specie il nord Italia, non aveva risorse alimentari sufficienti. La guerra ebbe effetti anche sul consorzio la cui azione venne sempre più svuotata di peso finché, sulla scia della conferenza di Stresa del 1951, nuovi impulsi iniziarono a stimolare la ripresa del Parmigiano Reggiano.
Nel 1955 fu definito lo Standard e negli anni successivi i decreti definirono meglio le finalità ed i compiti dell’organismo di tutela a cui aderirono volontariamente tutti i caseifici produttori.

A partire dagli anni Cinquanta, la produzione del Parmigiano Reggiano conobbe un ulteriore sviluppo portando ai risultati attuali. Questa però non è più la storia, ma l’attualità di uno dei pochi formaggi europei il cui successo si è mantenuto intatto per sette secoli.