Un’antica leggenda narra che nei musei, sotto il patronato di Apollo, la notte del solstizio d’estate le Muse richiamano in vita le immagini e danno voce agli oggetti che si fanno intervistare. È in una di queste occasioni che la incisione di Annibale Carracci del venditore di Parmigiano esposta al Museo del Parmigiano Reggiano di Soragna si anima e ci permette di incontrare Leonardo da Vinci, in transito da Parma nel settembre 1514.
LEONARDO DA VINCI A PARMA CON FORMAGGIO E MALVASIA
Il pomeriggio sta diventando sera nel soleggiato venerdì 25 settembre 1514 di una Parma che dopo un’ultima parentesi comunale ed essere passata agli Sforza e poi ai francesi dal 1512 è ora sotto il dominio della Chiesa. Si incontra poca gente sulle vie e in piazza sono rimasti solo quelli che vogliono vedere chi arriva in città al termine di una giornata di viaggio ai quali chiedere notizie di luoghi lontani. Un particolare interesse quella sera riceve un anziano dalla lunga capigliatura e con una fluente barba che arriva da Milano e che, accompagnato da due giovani, si reca alla Campana, la migliore locanda cittadina. Un interesse che rapidamente si propaga per la città, quando si scopre che giunto a Parma è il celebre Leonardo con due suoi allievi. A sera inoltrata, quando il Maestro con i suoi due accompagnatori si accomodano a un tavolo della locanda per la cena, dichiariamo che sono nostri ospiti, potendo così iniziare una imperdibile conversazione. Leonardo da Vinci (1452-1519) accetta e ci presenta i suoi accompagnatori, i pittori Francesco Melzi (1491-1570) e Gian Giacomo Caprotti (1480-1524) che chiama anche con il soprannome di Salaì.
Maestro lei si tratterrà a Parma per alcuni giorni? Potrà anche incontrare il giovane pittore Antonio Allegri, detto il Correggio (1489-1534) che è qui dal 1519 e che è andato a Milano per conoscere le sue opere?
Purtroppo non mi posso fermare a Parma se non per una notte di riposo, in quanto debbo passare per Firenze dove ho alcune pratiche da sbrigare e raggiungere rapidamente Roma dove mi attende Giuliano di Lorenzo de’ Medici (1479-1516), fratello di papa Leone X (Giovanni di Lorenzo de’ Medici, 1475-1521), che mi ospiterà negli appartamenti del Belvedere al Vaticano.
Dovrò anche partire di buon’ora perché durante l’attraversamento dell’Appennino parmigiano, proprio nelle zone dove crescono le viti di Malvasia (N. d. I. – Maiatico) e per il mio interesse per quanto la natura nasconde tra le rocce, voglio esaminare “le moltitudini di nichi [conchiglie] e coralli intarlati, ancora appiccicati alli sassi, de’ quali quand’io facevo il gran cavallo di Milano, me ne fu portato un gran sacco nella mia fabbrica da certi villani”. (N. d. I. Gran cavallo è il monumento a Francesco Sforza (1401-1466) il cui modello fu terminato da Leonardo a Milano nel 1491). Per queste incombenze in questa sera avrò solo il piacere di gustare i buoni cibi di questa terra. Anzi le chiedo quali potrebbero essere? E poi non mi chiami Maestro, perché io in tutta la mia vita ho sempre cercato più di imparare che di insegnare.
Messere, così la chiamerò, come vede molte persone richiamate dalla sua fama sono entrate in questa sala, ci osservano e vedranno casa mangeremo. Oggi è venerdì, giorno d’astinenza dalle carni, regola particolarmente seguita da quando Parma è sotto il dominio della Chiesa di Roma, per cui non posso suggerire piatti di carni di cui Parma è ricca.
Sotto un certo aspetto ciò non mi dispiace, perché da lungo tempo grande è il mio amore nei confronti degli animali e non solo quello della loro osservazione e studio. Quando a Firenze passavo davanti alle gabbie degli uccelli messi in vendita li avrei voluti comprare tutti per donare loro la libertà che spetta per diritto naturale (N. d. I. – Giorgio Vasari, 1511-1574). Inoltre so che il toscano Andrea Corsali (1487-15??) ha scritto a Giuliano de’ Medici (1479-1516) che vi sono persone che non si cibano di cosa alcuna che tenga sangue, né fra essi loro consentono che si noccia ad alcuna cosa animata, aggiungendo “come il nostro Leonardo da Vinci”. Per questa cena gradirei avere pane, frutta e soprattutto il vostro celebre formaggio Parmigiano, che noi toscani conosciamo bene fin dal tempo di Giovani Boccaccio (1313-1375). Il vino che preferisco è la Malvasia come quella prodotta dalla vigna che a Milano nel 1498 mi è stata donata da Ludovico il Moro (1452-1508) e che intendo lasciare a Salaì.
Ottima scelta la sua, perché in questa locanda, come cibo in sostituzione della carne, è offerto il primo formaggio preparato all’apertura primaverile dei caseifici e che ben si accosta ai fichi che si raccolgono in questo periodo come ultimi regali dell’abbondanza estiva. Inoltre qui sulle colline di Maiatico coltiviamo un’ottima Malvasia. Ma ecco qui il padrone della locanda che ci porta pane, formaggio Parmigiano, fichi e altra frutta e boccali di Malvasia. Ora mangiamo e quando saremo giunti al termine di questo pasto, quale il suo giudizio?
Di banchetti, non lo dico per vantarmi, me ne intendo. Ricordo quello che nel 1489 ho organizzato a Tortona per le nozze del duchino Gian Galeazzo Maria Sforza (1469-1494) e sua cugina Isabella d’Aragona (1470-1524) e nel quale ho inserito i formaggi e una torta nuziale di formaggio, la Torta bianca secondo la ricetta di Maestro Martino e dove ho usato il cacio di Montebore. Inoltre nel mio poemetto-menù del banchetto spettacolo L’Ordine de le Imbandisone cito un formaggio fresco del pian di Lombardia. Non è quindi necessario arrivare a fine pasto e già durante questo posso dire che questo formaggio, originaria invenzione dei monaci che hanno dissodato parte di queste terre, è ottimo non solo come condimento ma anche come cibo e conferma la notorietà che si è conquistato in Italia e fino alle lontane terre francesi dove intendo andare. La sua conformazione larga e piatta meriterebbe anche una bella rappresentazione da parte di un qualche pittore o incisore (N. d. I. – Sarà Annibale Carracci (1560-1609) che inciderà il Venditore di formaggio Parmigiano). Particolarmente gradita mi è anche questa Malvasia, se non sorella, certamente parente stretta di quella piacentina e della mia milanese e che ben si accosta a un giovane formaggio e ai dolci fichi di questa stagione. Una cena che io, come sono sicuro i miei giovani compagni di viaggio e di ricerca artistica, non dimenticheremo mai. Per questo spero di incontrarla ancora e la invito a essere mio ospite quando potrò vivere con più tranquillità, nelle terre francesi dove intendo stabilirmi, come le ho già accennato.
Anche noi non dimenticheremo mai questo incontro, gentile Messere e grande Maestro. Grazie di aver accolto il nostro invito e speriamo si possa ripetere in un suo ritorno da Roma durante un più lungo soggiorno a Parma, in modo che lei possa meglio conoscere questa nostra bella e sempre accogliente città e gustare di nuovo il formaggio Parmigiano e il vino Malvasia e conoscere tutte le sue altre eccellenze gastronomiche.