Evoluzione delle tipologie costruttive degli antichi caseifici del Parmigiano Reggiano

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Di Maria Luisa Mussini

L’antico caseificio a legna, comunemente detto “casello”, è un’anomalia nel campo dell’architettura industriale: non si trova, infatti, nelle periferie metropolitane ma nella campagna coltivata o, al più, ai margini dei centri abitati, spesso inglobato dalle nuove costruzioni nelle aree d’espansione urbana. Quando il casello ha retto alla consunzione del tempo e all’incuria e ha conservato le sue peculiarità senza subire trasformazioni sostanziali, appare come uno strano, piccolo edificio nato dalla fantasia di un abile capomastro. Raramente la sua costruzione è stata preceduta da un progetto stilato sulla carta.
Chi ha familiarità con gli attuali caseifici, con la loro luminosa spazialità, il nitore delle superfici, i riflessi delle attrezzature d’acciaio, il celato sistema di produzione del calore, ha sicuramente qualche difficoltà a riconoscere nel casello l’edificio dove ancora cinquant’anni or sono si produceva il formaggio di grana Parmigiano Reggiano; eppure gli elementi essenziali sono i medesimi oggi come ieri e ancor prima, quando le strutture erano così precarie da non aver lasciato traccia (1).

Il rapporto funzione – forma all’origine della più semplice struttura architettonica

L’architettura del casello è strettamente correlata alla funzione, sia nei tipi più evoluti come nei più semplici: essa deve rispondere ai due momenti essenziali della lavorazione, ovvero la raccolta e il riposo del latte ed il suo riscaldamento per la produzione del formaggio.
Il luogo della conservazione e della stagionatura del prodotto, quello del recupero e dello smaltimento dei residuati potevano dipendere da fattori diversi, come il tipo di organizzazione dell’attività casearia e avere, quindi, una collocazione esterna al casello in altri edifici del complesso aziendale.
L’assetto distributivo dell’edificio doveva articolarsi in due settori, uno disposto perimetralmente e dotato di piani su cui erano poste le piatte – ciotole contenenti il latte – l’altro, alla base di un pilastro, accoglieva il focolare, sul quale gravava la caldaia appesa ad una mensola a squadro, incardinata al pilastro stesso (Fig. 1).
La ventilazione era doppiamente necessaria: per aerare il latte in riposo, per stimolare la fiamma del focolare e smaltire il fumo di combustione. Per questo motivo la muratura perimetrale presenta ampie superfici traforate, le cosiddette griglie (Fig. 2), come tamponamento degli spazi fra i pilastri perimetrali, i quali s’innalzano su di un basso muro di recinzione e formano l’ossatura portante dell’edificio.
Nel tipo più semplice (Fig. 3) il casello è un ambiente a pianta rettangolare costruito in adiacenza ad un altro edificio. L’impianto dell’unica caldaia è addossato ad uno dei pilastri perimetrali, che s’innalzano sulla muratura di base e sorreggono le travature lignee del tetto a due falde. Le tegole (coppi) sono posate direttamente sull’intelaiatura minore. I ripiani per le piatte non hanno lasciato traccia del loro impianto: dovevano essere semplici tavoli accostati alle griglie.
Una variante di questo tipo (Fig. 4) è a pianta quadrata con tetto a tre spioventi sostenuto da una capriata poggiante sui pilastri mediani dei prospetti laterali; dai pilastri angolari di facciata, due travi grosse convergono al vertice della capriata. C’è ancora un’unica fornacella per una sola caldaia: la quantità di latte lavorato doveva essere modesta.
Nei caselli riconducibili a questi due tipi, ancora esistenti nell’area reggiana, la superficie coperta ha una dimensione contenuta fra i 30 e i 40 mq. e le griglie sono realizzate con semplici listoni di legno (Fig. 5). Questi caselli sono forse i più antichi fra quelli reperiti sul territorio.
Griglie a listoni di legno si trovano anche in un casello a pianta quadrata, ma di tipo isolato. È il casello di San Michele della Fossa(Bagnolo), dotato ancora di una sola caldaia appesa ad un pilastro perimetrale (Fig. 6). In questo caso la costruzione del tetto a quattro spioventi è risolta con l’uso della capriata.
  1. Un’ampia documentazione fotografica sui caselli esistenti in tutta l’area di produzione fino al 1979 è in: Il casello: ricerca fotografica di Stanislao Farri, Reggio Emilia, Bizzochi Editore, 1979. Per un’analisi delle tipologie architettoniche, degli elementi strutturali e della decorazione si veda: M. L. MUSSINI, M. MURARO, Antichi caselli nella provincia di Reggio Emilia, Reggio Emilia, Amministrazione Provinciale, 1989. Il saggio contiene inoltre una schedatura dei caselli individuati nella provincia di Reggio, a documentazione dei caratteri tipologici di ciascuno e dello stato di fatto in cui si trovavano attorno alla seconda metà degli anni Ottanta. Per una lettura dell’edificio in rapporto all’attività produttiva nel contesto storico si veda: M. ZANNONI, Il Parmigiano Reggiano nella storia, Parma, Silva Editore, 1999, cap. VII, L’Ottocento, pp. 79-102.