Il formaggio Parmigiano nella tradizione

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Di Guglielmo Capacchi

Oh, l’è chì, al formàj bon!

Piccole storie di modi di dire tra dialetto e formaggio Parmigiano

Hai visto la mia tabacchiera? No? Ma non mi hai mai visto fiutare tabacco: e il motivo è che nella tabacchiera io tengo un pezzo di formaggio Parmigiano: un formaggio che si fa in Italia, molto nutriente”. R.L. Stevenson, L’isola del tesoro, Cap. XIX.

Luigi Verrini, uno degli autori che alcuni anni fa si occuparono con serietà del formaggio Parmigiano – Reggiano, fornendo una cartina della zona di produzione del nostro autentico grana “DOC”, propose di chiamare l’intero territorio “l’isola del tesoro”, come omaggio al grande scrittore inglese che dedicò al nostro formaggio un curioso episodio del suo romanzo, quello che abbiamo riportato in apertura. Allo stesso modo lo potremmo intitolare “il Paese di Bengodi”, rifacendoci al Boccaccio e alla sua montagna di Parmigiano grattugiato, o rimandare in qualche modo a Molière che da vecchio infermiccio, preferiva un pezzo di Parmigiano al brodo che gli preparava la moglie; non si finirebbe più.
Pensando ai bancherellai delle Ghiaia [la piazza del mercato di Parma, così denominata perché sorta lungo il greto in secca del torrente], ed alle loro grida di richiamo, quasi tutte incentrate sulla formula “Oh, l’è chi, al formàj bòn!” (Oh, è qui il formaggio buono!) scelgo di ricordare un canto corale che sentii da giovanotto echeggiare in uno di quei retrobottega di negozi d’alimentari che spesso funzionavano anche da osteria, sia di qua sia al di là del torrente [Parma]; allora ero da un alimentarista di Strada D’Azeglio:

“A gh’à ragiòn San Pédor
Dzénd che ‘l formàj l’è bòn:

e s’l’è bòn stemm’alégor
E bvemma da razòn.

Bastarà anca ‘na scaja,
Cuand a s’è fnì äd diznär
Ch’al gh’à un savòr ch’a zbraja:
‘Son chì, tutt da gastär!’”.

“Ha ragione San Pietro [?] dicendo che il formaggio è buono:
E se è buono, stiamo allegri,
E beviamo come si conviene.

Basterà anche una scaglia,
quando s’è finito di desinare
ha un sapore che grida:
‘Son qui, tutto da gustare!’”

Ricordo soltanto queste due strofette, ma ogni sforzo per rammentarne l’aria è stato inutile. Non mi è più capitato, per giunta, di riascoltare il curioso coro.
I venditori di formaggio della Ghiaia, schierati in una discreta fila scendendo dalle scalette, a sinistra, dovevano gareggiare in energia vocale con i venditori di lunari ed almanacchi, che li precedevano occupando addirittura gli ultimi scalini; e buon per i formaggiai (che nel Medioevo appartenevano alla corporazione dei Lardaroli) se non dovevano vedersela con le ortolane vocianti che erano dislocate più avanti e sul lato Est del mercato.
Uno di questi venditori di formaggio, circondato da pile di forme verniciate di nero intenso (nerofumo e olio di lino o di vinaccioli), agitando il coltello a mandorla [tipico per scagliare il Parmigiano], aveva il vezzo di urlare le doti non del formàj bòn, ma di formajo bòn. Giacché il suo “formajo” pare fosse il più scadente del mercato, i Parmigiani non tardarono ad usare l’espressione “formajo bòn” per intendere tutto il contrario, al punto che il Malaspina, che da buon ex facchino in Ghiaia c’era stato di casa, deve registrare nel suo Vocabolario Parmigiano: “Formajo bòn – Cacio vieto […], così chiamasi da noi il cacio difettoso che si vende nella piazza”. La voce non piacque al Pariset, che preferì ignorarla nel suo Vocabolario Parmigiano-Italiano.

Da tempo erano spariti quei venditori ambulanti che gli incisori come Annibale Carracci e Giuseppe Maria Mitelli ci mostrano con vivezza, con le loro forme larghe e sottili, con la crosta unta d’olio e d’ossido di ferro per dare un lieve tinteggio brunastro, quello che i vecchi chiamavano “Al formàj ròss” (il formaggio rosso). Diminuito il problema dell’umidità del prodotto (per essere il formaggio meno magro), dal 1967 è divenuta d’obbligo la tinta esterna chiara e naturale, che tra l’altro consente una marchiatura più leggibile.
Ma il grido dei formaggiai della Ghiaia è sopravvissuto a lungo come modo di dire: all’avvicinarsi di una persona importuna o che non stimiamo e preferiremmo fosse altrove, invece del classico “Bruza l’oliva!” (Brucia l’olivo benedetto!) diciamo “Oh, l’è chi, al formàj bòn!”, intendendo ironicamente “Ecco che arriva quello giusto!”, “Ci mancava anche questo!”.

Tratto da: G. Capacchi, Oh, l’è chi, al formàj bòn! Altre piccole storie di modi di dire parmigiani. Parma, Palatina Editrice, 2003, pp 72-74.