Ruolo del latte e dei formaggi nel Medioevo

Home/Per saperne di più/Focus su…/Ruolo del latte e dei formaggi nel Medioevo

Di Massimo Montanari

Le culture alimentari tradizionali percepiscono l’alimento latte(1) in stretto collegamento con l’idea di infanzia. Il latte è per definizione il cibo dei neonati, dunque è prima di tutto il latte umano, unanimemente riconosciuto come il migliore, il più nutriente, il più adatto anche per usi medicinali.

Il latte è cosa buona, fonte di vita e di salute. È – ritengono i medici antichi e medievali – una sorta di sangue imbiancato, purificato(2) . E il sangue è l’essenza stessa della vita. Non sorprende perciò che il latte trovi posto anche nella simbologia religiosa quale immagine della vita – appunto – e della salvezza interiore.

Nei primi tempi del cristianesimo, il pasto sacro dei fedeli, che progressivamente si sarebbe orientato verso il consumo rituale di pane e vino, comprendeva talora il latte (associato al pane o al miele) in alternativa al vino(3). Vino che, ad un certo punto, si sostituisce al latte nell’immaginario culturale e religioso, rilevandone in qualche modo le funzioni. Ciò accade in un momento ben preciso: là dove il latte termina di possedere una valenza nutritiva primaria, ossia nel passaggio dall’infanzia all’età adulta.

La profonda connessione tra il latte e l’infanzia, origine dei valori positivi che gli sono attribuiti, è anche il limite del suo ruolo e della sua immagine, che gli impedisce di essere assunto come valore alimentare – e culturale – totalmente positivo. Quale alimento per l’età adulta il latte è generalmente rifiutato, e ciò significa un atteggiamento di grande diffidenza verso ogni tipo di latte che non sia quello di donna e che venga proposto al di fuori del contesto nutrizionale infantile.

Secondo i medici antichi, il latte animale non è alimento appropriato per l’uomo: Ippocrate Galeno lo consigliano solo per uso medicinale, sottolineando i numerosi pericoli del latte sotto il profilo alimentare(4) . Tali giudizi erano determinati anche da motivi di carattere ambientale: la cultura greca e latina si sviluppano in un quadro geografico, quello mediterraneo, non certo favorevole al consumo di un prodotto delicato e deperibile come il latte. Ciò valeva in generale ma a maggior ragione nei climi più caldi, e non è sicuramente un caso che solo certe popolazioni del Nord vengano descritte dagli autori antichi, non senza stupore, come consumatori abituali di latte animale. “Mungi-cavalle” sono definiti da Erodoto gli Sciti, grandi consumatori di latte e latticini(5) . Analoghe valutazioni troviamo negli autori della tarda Antichità e del primo Medioevo, come Giordane, il quale a proposito dei Goti Minori scrive che conoscono, sì, grazie ai contatti con i popoli vicini, quella meravigliosa bevanda di civiltà che è il vino, ma ciononostante restano fedeli al latte, loro bevanda tradizionale(6).

  1. Riprendo qui una parte delle riflessioni che ho proposto in Il latte e i suoi derivati nella tradizione alimentare italiana, in Il latte. Storia, lessici, fonti, a cura di M. Tozzi Fontana e M. Montanari, Bologna, 2000, pp. 9-36.
  2. “Tutti i medici convengono nell’opinione che il latte […] generi molto sangue – quasi fosse un sangue spremuto dalle mammelle” (B. PLATINA, Il piacere onesto e la buona salute, a cura di E. Faccioli, Torino, 1985, pp. 49-50). Cfr. P. CAMPORESI, Il formaggio maledetto, in ID., Le officine dei sensi, Milano, 1985, pp. 47-77, a p. 70.
  3. C. VOGEL, Symboles cultuels chrétiens. Les aliments sacrés: poisson et refrigeria, in Simboli e simbologia nell’alto Medioevo, Spoleto, 1976, I, pp. 197-252.
  4. I. NASO, Formaggi nel Medioevo. La “Summa lacticiniorum” di Pantaleone da Confienza, Torino, Il Segnalibro, 1990, p. 67.
  5. CAMPORESI, Il formaggio maledetto cit., p. 59.
  6. JORDANES, Getica, LI, 267. Cfr. M. MONTANARI, La fame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa, Roma-Bari, 1993, p. 15.