Luigi Mario Belloni
San Lucio è un santo popolare, ed il suo culto nacque spontaneamente sulle montagne dell’estremo confine della Provincia di Como con il Canton Ticino, divenendo incontrastato protettore dei mandriani e dei casari.
Vivamente interessante è la figura di San Lucio, nome che nel tempo si trova diffuso con varianti medievali di Luguzzone, Luzzone, Uguzzone, Uguzzo, Uguccione e simili.
Incerto è il periodo in cui visse Luguzzone, ma dall’analisi delle fonti, soprattutto con riferimento alla dedicazione dell’oratorio montano a lui intitolato, si può collocare il suo martirio a cavallo fra i secoli XIII e XIV.
Anche se non canonizzato, la devozione al Santo di Cavargna si propagò rapidamente in Lombardia ed in Canton Ticino, evidentemente portatovi dai casari e dagli alpigiani che si spostavano per il loro lavoro.
La tradizione lo dice un pastore che curava il bestiame e offriva ai poveri il formaggio che il suo padrone gli dava per paga. Questo formaggio si moltiplicava miracolosamente, provocando l’invidia del padrone, oltre al disappunto per le mancate vendite, tanto che finì per uccidere Lucio presso uno stagno, posto sul crinale che divide la Val Cavargna e la Val Colla, al confine tra il Comasco e la Svizzera. Le acque di quella pozza alpestre diventano rosse il giorno della sua festa, il 12 luglio, data del martirio. Raccolte dai fedeli erano conservate in casa per guarire le malattie degli occhi.
Patrono degli alpigiani, San Lucio divenne in seguito protettore dei formaggiai ed a quest’ultima prerogativa si ispirò gran parte dell’iconografia del Santo, che rappresenta Lucio in abito da pastore, con una forma di formaggio ed un coltello nell’atto di tagliarla, spesso con un ramo di palma, simbolo del martirio.
Essendo rimaste ignote le date della nascita e della morte di Lucio, è solo attraverso l’iconografia che ci è possibile giungere a collocare nel tempo la sua figura.
Il culto del Santo si diffonde nell’Italia settentrionale a partire dal tredicesimo secolo, proprio dall’abitato di Cavargna, il centro più prossimo al luogo del suo martirio, divenuto sede di un santuario a lui dedicato, Successivamente, divenuto patrono dei formaggiai e delle loro Corporazioni o Arti la sua venerazione si sparse anche nelle città, come Milano, Bergamo, Brescia, Lodi, Codogno, Piacenza, Parma grazie anche agli emigrati della Val Cavargna che nel loro peregrinare dovuto all’attività ambulante di “magnani” (ramai o calderai) diffusero il culto del Santo in una cinquantina di località del Nord Italia e del Ticino.
La festa di San Lucio viene celebrata tutti gli anni il 12 di luglio nel santuario montano a lui intitolato.
Luigi Mario Belloni
L’Oratorio dedicato a San Lucio sorge a 1.500 metri d’altitudine, a guardia del valico omonimo, oggi lungo il confine italo-svizzero. Un passo che mette in comunicazione la zona di Porlezza e del Lario con il Luganese, attraverso la Val Cavargna e la Val Colla. Come per il non lontano passo di San Jorio, alla testata delle valli di Dongo e di Gravedona con la Val Morobbia, anche a San Lucio, doveva passare un itinerario antichissimo, molto presumibilmente già in epoca romana, dove presso il “culmen” (sommità) delle strade i viandanti, spesso mercanti, offrivano un obolo per propiziarsi il viaggio ed il ritorno: “pro itu et reditu”.
Facile da ciò il mantenere, anche in epoca cristiana, un luogo di culto che al passo di San Lucio poté sfociare nella costruzione dell’Oratorio sul filo della sacra tradizione che vuole martire nei pressi il mandriano Luguzzone (o Lucio dopo il 1613).
La chiesa di San Lucio viene nominata per la prima volta in un documento del 10 ottobre 1358 dell’Arcivescovo di Milano Roberto Visconti, signore della Valsolda e della Pieve di Porlezza. (Ancor oggi la zona fa parte della Diocesi di Milano, anche se più prossima geograficamente a Como).
La chiesa venne toccata nel 1582 dalla Visita Pastorale di San Carlo che “deliberò d’ascendere nell’alta e selvaggia montagna detta San Luguzone, avendo visitato la Val Cavargna, per riconoscere lo stato d’una chiesa dedicata ad esso Santo e dove si trattenne fino a sera”, e nel 1606 da quella del cardinale Federico Borromeo.
A quell’epoca la navata era tutta ricoperta di dipinti, ma sul muro interno della fronte e sulle pareti laterali alcuni affreschi erano già irriconoscibili per l’umidità che si produceva annualmente con lo scioglimento delle nevi. Sulla parete dell’altar maggiore, ora scomparsa per il successivo allungamento della zona absidale, erano un Crocefisso, la Vergine ed i santi Giovanni Battista, Rocco e Lucio. Sulla volta gli evangelisti e i quattro dottori della Chiesa: Agostino, Ambrogio, Gerolamo e Gregorio.
Il santuario, con l’ingresso rivolto al confine svizzero verso la Val Colla e l’abside a Est verso la Val Cavargna, si presenta come un edificio allungato, ad una sola navata. Un piccolo campanile è posto a mezzogiorno a fianco di un ingresso sul lato Sud, mentre a Nord si trova la piccola sagrestia e la cappella di San Rocco.
L’edificio è protetto da un tetto in pietra grigia ed è preceduto da un portico a tre arcate, nella cui pavimentazione è inclusa una macina da mulino, riutilizzata come pietra sacra, per la croce evidenziata dal foro centrale della macina stessa.
Da qui, scendendo tre scalini, si accede all’interno. Il pavimento della chiesa è formato da conci di pietra; a destra dell’ingresso un antico ossario in marmo di Musso funge da acquasantiera. Una seconda acquasantiera, posta a fianco della porta laterale, è di gusto rinascimentale e reca lo stemma della famiglia Gozzi di San Bartolomeo Val Cavargna.
Campagne di restauro si sono susseguite negli anni a partire dal 1983, dapprima con importanti lavori di risanamento delle strutture, quindi, dal 1987, con il restauro delle pareti affrescate, portati a compimento nel 2000 con il recupero dell’intero ciclo pittorico dedicato a San Lucio, descialbato nel corso del Seicento.
Giancarlo Gonizzi
L’antichissima e potente Arte dei Lardaroli di Parma – secondo lo Statuto del 1459 – aveva il diritto di vendita esclusiva di formaggio, carni salate, olio di oliva e di semi, pesci freschi, salsicce, interiora e burro.
L’Arte era sorta in una zona in cui l’agricoltura prosperava già in epoca romana: Varrone nel I secolo a.C. aveva descritto le tecniche di produzione dei formaggi locali, che venivano esportati verso Roma attraverso la Liguria.
Parallelamente si era sviluppata la stagionatura delle carni di suino – il cui allevamento era attestato nella zona fin dall’epoca preistorica.
Le due attività risultavano intimamente connesse: infatti dagli scarti di lavorazione dell’industria dei formaggi, si ricavavano sostanze base perfettamente idonee all’alimentazione dei maiali. Da qui la concentrazione in un’unica Arte.
Notevole importanza rivestiva, per l’Arte, il culto del santo protettore San Lucio – solennemente venerato il 12 luglio – che dal Seicento all’Ottocento risulta effigiato nelle licenze e sui documenti ufficiali dell’Arte stessa. Presso l’Archivio di Stato di Parma è conservta una incisione che ne mostra l’effigie, mentre il Santo è intento ad offrire un pezzo di formaggio ad un povero.
Presso l’Oratorio, poi sconsacrato e ridotto ad uso profano, delle Cinque Piaghe, dove aveva la propria sede l’Arte, si trovava, fino al 1913, sul primo altare di sinistra il dipinto raffigurante il “Martirio di San Lucio di Val Cavargna”, attribuibile a Giuseppe Peroni (Parma 1710-1776) e oggi conservato in Galleria Nazionale, dopo l’acquisto avvenuto nel 1917.
Giorgio Grandi
Risulta interessante, per meglio comprendere la diffusione del culto del santo patrono dei casari, esaminarne le dimensioni geografiche e socio-ambientali.
Una prima osservazione evidenzia una diffusione nella zona della Val Cavargna, nei territori limitrofi e nell’attuale Canton Ticino (unito fra 1300 e 1400 al Ducato di Milano dei Visconti e degli Sforza), ma non solo presso comunità confinanti con la Val Cavargna e la Val Colla, ma anche nelle Tre Valli ticinesi già appartenenti alla diocesi ambrosiana, e in Piemonte (nell’Ossola, nel Vergante e in Val Sesia) e poi ancora nel Bergamasco, nel
Cremonese, nel Lodigiano, a Brescia, a Pavia, a Parma e Piacenza.
A volte come patrono dei casari e degli alpigiani, a volte, come nelle città, dei formaggiai: a Milano della “Universitas Salsamentariorum”, a Bergamo dei “Grassinari”, a Pavia dei formaggiai e dei postari, a Brescia e a Lodi dei formaggiai, a Parma dei “Lardaroli”. In alcuni casi anche come patrono della vista.
Una seconda osservazione consente di rilevare come la maggior diffusione della devozione e delle testimonianze di culto si abbia in località di montagna o di pianura con popolazioni agricole dedite all’allevamento del bestiame, alla pratica dell’alpeggio e della lavorazione del latte e del formaggio.
Si può anche osservare come la devozione si sia diffusa in zone tra loro distanti e differenti, con difficili e lunghe percorrenze di collegamento.
I portatori del culto erano, senza dubbio, gli stessi abitanti della Val Cavargna, in movimento, più di quanto si possa immaginare con i mezzi di allora, per ragioni diverse: la pratica della transumanza che faceva spostare uomini e bestie anche in zone distanti da quelle dell’abituale residenza, il lavoro del magnano o stagnino, che riparava, oltre alle pentole casalinghe, anche le caldaie per la lavorazione del formaggio, i questuanti o “cerconi” “a nome del Santuario di San Luguzone”.
Nella stesura delle schede, oltre cinquanta, si sono utilizzate, quando possibile, pubblicazioni locali o specialistiche, cercando di dare informazioni sulle testimonianze iconografiche, sulle chiese che ospitano i dipinti devozionali di San Lucio, la loro storia, le loro decorazioni pittoriche, indicandone, se conosciuti, gli autori e gli offerenti. Quando le circostanze lo hanno consentito, si è cercato di inquadrare le ragioni storiche e socio-economiche della diffusione della devozione al Santo della Val Cavargna anche in località ad essa molto distanti.
Simile ricerca, per sua stessa natura, non può pretendere di essere considerata “completa”. Saranno, pertanto, gradite, ulteriori segnalazioni, integrazioni o correzioni.
Visita la pagina dedicata alle seguenti gallerie fotografiche:
- Il centro del culto in Val Cavargna e nei territori limitrofi
- I luoghi del culto e l’iconografia in Ticino
- I luoghi del culto e l’iconografia in Lombardia
- I luoghi del culto e l’iconografia in Piemonte
- I luoghi del culto e l’iconografia in Emilia
E. A. Stückelberg, San Lucio (S. Uguzo) il patrono degli alpigiani, in “Monitore ufficiale della Diocesi di Lugano”, Lugano, 1912
“Uguzo (Lucio) era un povero pastore e casaro in Val Cavargna (Como); pascolava la mandria del suo padrone e preparava il latte ed il formaggio. Caritatevole coi poveri, cadde nel sospetto ch’egli distribuisse quello che non era suo, e il padrone lo licenziò. Nulla in realtà rubava Uguzo al suo padrone: poteva fare le sue elemosine, perché preparava dal siero della prima casatura un secondo formaggio.
Uguzo si mette al servizio di di un altro. Le sostanze del nuovo padrone aumentano in modo meraviglioso. Pieno di livore e di odio il vecchio padrone si scaglia su Uguzo e l’uccide. A Sonvico si narra che egli soltanto stato assalito e percosso sul luogo dove ora sorge la Cappella di San Lucio.
Non s’accordano le tradizioni intorno al modo col quale fu levato di vita il Santo. Egli sarebbe stato pugnalato, ci riferiscono Bescapè (1640) e Flaminio (1773): sono dello stesso parere il Brautius, il Bulzius; i dipinti della Cappella di San Lucio, al passo omonimo, e quelli di Puria ce lo presentano con una ferita inferta nel petto al lato destro. Questa versione sembra avvicinarsi molto alla verità: il pugnale è precisamente l’arma principale di cui si servono gli abitanti di quei monti ed è famoso al Passo di San Lucio, al confine, cioè, di due popoli.
A Loveno si narra che Lucio sia stato decapitato, non è detto se vivo o morto. Il suo cadavere sarebbe stato gettato nel laghetto.
Il Rahn, appoggiandosi alla testimonianza del parroco di Semione, narra che il Santo sarebbe stato ucciso da cattivi compagni, che lo gettarono in una caldaia di latte bollente, e non dal padrone.
La tradizione circa il sepolcro di Lucio riflette altresì le contese tra i due popoli confinanti. Esso sarebbe stato tenuto occulto, allo scopo evidente di impedire che il corpo venisse rubato. Il Parroco di Tesserete ci parlò di una traslazione del corpo del Santo: e a Bidogno, al punto dove sostò il sacro peso, fu costruita una cappella.
Anche Rahn attesta che in Blenio si parla di una traslazione, della quale non potemmo rintracciare nessuna reminiscenza a Como. Questo tratto della leggenda pare quindi apocrifo e sembra riflettere le rivalità tra Como e Milano: San Lucio e Cavargna sono in Diocesi di Milano, ma circondati da territorio comasco.
Sul luogo del martirio si formò uno stagno la cui acqua si tinge di rosso al ritorno dell’anniversario della morte di Uguzo.
La leggenda sembra avere questo fondo di vero: sulle Alpi di Cavargna viveva in tempi antichissimi, un uomo di santa vita, la cui carità e beneficenza verso i poveri rimase in buona memoria anche presso le tarde generazioni. Si celebrava la sua memoria, ma si teneva celato il sepolcro.
Le particolarità della leggenda sembrano avere questa base: il Santo morì di morte violenta; ovvero altri uomini trovarono la morte in quelle alture a causa di conflitti di confine o di proprietà, e tal genere di morte fu poi introdotta nella leggenda del Santo. È però probabile che Uguzo fosse in venerazione non solo per la santità di sua vita, ma ancora per il martirio.
La particolarità circa la preparazione del formaggio e la distribuzione che il Santo ne faceva ai poveri sembrano avere invece un fondamento reale ed iconografico, e sarebbe questo: Uguzo aveva fatto elemosine ai poveri dei prodotti del paese: latte e formaggio; a loro volta quei montanari, in mancanza di denaro, solevano fare al Santo delle offerte dei prodotti del luogo, principalmente di formaggio. Era poi naturale che il Santo fosse dipinto coi doni a lui offerti. In tal maniera fu egli rappresentato alla fantasia popolare. Questa cercò poi di darsi spiegazione, a modo suo, della iconografia del Santo. Sorse così il tratto della leggenda che Uguzo distribuisse del formaggio ai poveri. Che dall’immagine del Santo, così presentata, potesse formarsi la leggenda, quale la conosciamo, è cosa naturale e rispondente allo spirito del Medioevo.
Che in vicinanza di un santuario o sul luogo del martirio si sia formata una sorgente non ha nulla di straordinario nell’agiografia: solo che probabilmente le cose si sono succedute in altro ordine: non perché v’era un luogo santo s’aprì una vena d’acqua; ma il santuario sorse in vicinanza di una fonte o di uno stagno preesistente.
Il colore rosso di cui si tinge l’acqua ad estate inoltrata, è dovuto alle alghe rosse (oscillatoria rubescens). Un razionalista potrebbe essere tentato di spiegare il tratto della leggenda, che narra il martirio sanguinoso, dal tingersi in rosso dell’acqua; e per tal modo si verrebbe a mettere in dubbio il martirio stesso, che pure appartiene alla tradizione scritta ed iconografica di Sant’Uguzo. È più facile ammettere che il popolo abbia ravvicinata la morte sanguinosa del suo Santo col tingersi dello stagno: alla fantasia popolare seguì quella dei poeti”.
Dalle Opere scelte di Benedetto Giovio (1471-1545), pubblicate per cura della Società Storica Comense. Como, Francesco Fossati, 1887
“San Lucio, oriundo bergamasco, detto anche Luzio, Luguzone o Uguzone, si venera sui monti di Cavargna. Non molto distante dalla terra di questo nome, a quattro ore di viaggio da Porlezza, sta la chiesuola dedicata a lui. Vi ha grande concorso di divoti ai 12 luglio, ai 16 agosto e tutto il mese, massime nel dì di San Rocco. Il diario sacro e perpetuo della Diocesi di Milano, stampato da G.B. Carisio nel 1679, così si esprime “12 luglio… Li formaggiari, cervellari, salsicciari, lattaruoli ed altri celebrano la festa del loro protettore S. Uguzzone, martirizzato in Cavargna, nella Diocesi di Milano”.
I Padri Bollandisti (società che prese nome da Jean Bolland che per primo iniziò la pubblicazione degli “Acta Sanctorum”) ne parlano più diffusamente e levano di peso le notizie al Ferrari (Sanctorum Italiae Catalogus) ed a vetusta carta della Biblioteca Ambrosiana. Dicono così: “Lucio fu pastore e formaggiaio in Valle Cavargna e vi governò il gregge e l’armento di un tal benestante, e che poi discacciollo dal servizio perché aveva fatta qualche limosina ai poveri e alla Chiesa. Andato a lavoro presso altro padrone, vi portò la benedizione di Dio, e si vedeva di giorno in giorno che gli prosperavano e moltiplicavano i capi di bestiame. Invidioso di tanto, il primo padrone uccise di pugnale Lucio, che, caduto sul terreno, vi fece all’atto scaturire copiosissima fontana, le cui acque non mancano mai, e sono miracolose. Nell’ora e nel giorno dell’uccisione si tingono di rosso. Vi è grande il concorso di divoti, specialmente ai 12 luglio; e ci vengono fino dai paesi più lontani. Servono le acque a sanare le infermità degli occhi. Chi vi porta in dono formaggio, chi occhi di cera e chi d’argento”.
Il sepolcro del Martire è conosciuto unicamente ai tre più vecchi di Cavargna; e morto l’uno di essi, trasmette la notizia all’altro dei Cavargnoni seniori.
Il giorno e l’anno del martirio sono ignoti. La tradizione intorno al martirio concorda coi Bollandisti, salvo che v’innesta qualche altra circostanza. Una sarebbe che il segreto del sepolcro sia indotto, perché una volta la città di Milano aveva tentato di rubare le Sacre Reliquie. […]
Lucio si dipinge con abito da pastore, o con formaggiuoli in mano, occupato a farne la distribuzione ai poverelli. Al suo ritratto, uscito a Milano, si pose questa scritta: “S. Lucio martire, protettore dei Salsamentari, Macellai e Lattaroli”.
In Cavargna, al sito del martirio si eresse una cappelletta e non molto distante, vi ha la chiesa con molte pitture dei miracoli di Lucio, e con mazzi di gruccie, che vi depositarono gli infermi risanati”.
Bibliografia
G. AROSIO, Sguardo sul passato, in Cavargna e la sua Valle. Tradizioni, ricordi, ricerche, studi. Cavargna (CO), Associazione Amici di Cavargna, 1982, pp. 70-71.
L. M. BELLONI, Ricerche e studi recenti sulla Val Cavargna, in Cavargna e la sua Valle. Tradizioni, ricordi, ricerche, studi. Cavargna (CO), Associazione Amici di Cavargna, 1982, pp. 78-82.
San Lucio di Cavargna: un Santo, una Chiesa, Cavargna (CO), Associazione Amici di Cavargna, 1992, pp 137 con bibliografia.
A. BIANCHI, Il Santo di Cavargna, in San Lucio di Cavargna: un Santo, una Chiesa, Cavargna (CO), Associazione Amici di Cavargna, 1992, pp 11-56.
P. VILLA – A. MADESANI, L’iconografia di San Lucio di Cavargna, in San Lucio di Cavargna: un Santo, una Chiesa, Cavargna (CO), Associazione Amici di Cavargna, 1992, pp. 125-131.
L’iconografia di San Lucio di Cavargna, in Valcavargna, testimonianze del passato. Cavargna (CO), Associazione Amici di Cavargna, 1997, pp. 54-55.
San Lucio di Cavargna: il Santo, la Chiesa, il Culto, l’iconografia. Cavargna (CO), Associazione Amici di Cavargna, 2000, pp 267, con ampia iconografia.
L. M. BELLONI, Val Cavargna: un percorso nella storia, in Val Cavargna: Il Museo della Valle tra storia, tradizioni e testimonianze. Cavargna (CO), Associazione Amici di Cavargna, 2003, pp. 27-30.
Per conoscere meglio la Val Cavargna, patria di San Lucio e il suo museo, visita il sito: http://www.valcavargna.com/